Blu elettrico

15,00 

di Sonia Delle Monache

 

Cosa ci fa una donna sconosciuta, vestita di blu elettrico, priva di vita in un piccolo centro ricreativo abbandonato di provincia? Questa è una delle domande che affollano la testa di Lisanna Martozzi, vicequestore in carica, che dovrà occuparsi di risolvere il suo caso più difficile.

Quale sarà, tra tutte le false piste, quella da seguire per arrivare alla soluzione?

Tra colpi di scena e colpi di fulmine, la sfida si rivelerà più difficile del previsto e richiederà coraggio e intuizione per gestire non solo gli indizi raccolti, ma anche le emozioni in ballo.

 

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PROLOGO

Era una luna strana, quella. Com’è che la chiamavano? Superluna del Cervo, più grande e luminosa che mai. Si chiamava così perché secondo una leggenda, nel mese di luglio, le corna dei cervi crescevano fino al loro massimo splendore ed erano tanto grandi da fare ombra persino alla luce della luna. Erano belle, le leggende… le apprezzava da sempre e le ricordava nei minimi particolari.

Già, i particolari: un elemento importante nella sua vita. Tutto passa attraverso i particolari, diceva. Ed era dai particolari che capiva le persone, chi avesse davanti, cosa stessero pensando e quali fossero le loro reali intenzioni al di là delle parole pronunciate. Il particolare della mano passata di sfuggita nei capelli, dei polpastrelli sfregati gli uni contro gli altri come a testarne l’umidità, della piega che assumeva l’angolo della bocca. Il particolare del colore dei vestiti che faceva capire cosa aspettarsi da una serata, da un appuntamento, da un incontro. Ad esempio, il blu elettrico di quel completo pantalone indicava l’intento di mostrarsi aperta ma controllata, di farsi credere disponibile, ma solo a condizione di dettare le proprie regole. Voleva dire “ti lascio fare ciò che vuoi, ma solo perché è ciò che voglio anch’io”.

Non aveva mai amato troppo le persone così, quelle che credono di fregarti, lasciandoti pensare che sia tu a condurre il gioco. Ti lasciano fare, finché vedono qualcosa che non gradiscono. A quel punto, ristabiliscono le distanze e ti gelano con dinieghi e indifferenza.

Era andata così anche quella volta, anche quella sera. Nonostante la Superluna. Eppure con una luna così forse si poteva sperare in una soluzione migliore… o forse era stato proprio a causa di quella luna che le cose avevano preso quella piega.   

Da lontano un cane abbaiava. Odiava sentire i cani abbaiare. Di notte, poi. Quando bisognerebbe rispettare il riposo di tutti. Il rispetto. Che bella parola! E quanto era sconosciuta alle persone! Rispetto per il riposo dell’altro, per i bisogni dell’altro, per le cose degli altri… si ripeteva spesso che il mondo stesse degenerando sempre più proprio perché era venuto meno il Rispetto. Se c’era una cosa che non sopportava, era la mancanza di rispetto! E, purtroppo, la vedeva ovunque, in quel cane che abbaiava nella notte, in quel completo blu elettrico, nell’indifferenza di alcuni sguardi. Di fronte alla mancanza di rispetto, sentiva la sua mente appannarsi, il suo cuore aumentare di battiti, le mani contrarsi nervosamente… ma si stava facendo tardi. 

Nella strada a fianco, sentì il rumore di un’auto che forse stava rientrando. Attese. Guardò dalla piccola finestra e vide che aveva ragione: la basculante del garage della casa in fondo al viale si stava abbassando, mentre il lampeggiante dava i suoi ultimi bagliori. Poi, fu di nuovo buio. Anche se non era tardissimo, Casolino era già addormentata da diverse ore, e tutto era vuoto e silenzioso. Le luci delle case pian piano si erano spente e i rumori delle famiglie affievoliti. 

Era stato tutto troppo facile. Forse avrebbe preferito che non fosse andata così, che fosse stato un po’ più movimentato, difficile, un po’ più… divertente. Ma ormai era tanto che non si divertiva. Di divertimento vero, intendeva. Capitavano solo incontri beceri, fatti di sorrisi forzati che non rimanevano impressi neanche troppo a lungo. In ultima analisi tutti, o quasi tutti, dei rapporti insignificanti. Persone che passavano nella sua vita senza lasciare il segno, senza senso, senza motivo. Come era successo anche con lei.

Diede un ultimo sguardo al tavolo dov’era seduta: la mano non appariva proprio bella così com’era, poggiata storta sulla superficie di plastica, per cui la ruotò leggermente e la mise dritta, in modo da far risaltare il dorso e quelle unghie dipinte di una brutta nuance di rosso che sembravano indicare l’ingresso del Circolo. Ah, i particolari. A proposito, pensò anche che quel colore stava malissimo con il blu elettrico, e che fosse un chiaro segno di trascuratezza a dispetto degli sforzi di apparire elegante. 

Si guardò intorno. Circolo Culturale-Ricreativo: che nome esageratamente pomposo per un piccolo edificio con due stanze, spoglio e impolverato. Sembrava in paziente attesa di essere messo veramente in funzione. Meglio così. Stasera era stato utile.

Chissà però quando qualcuno sarebbe entrato nuovamente lì dentro! 

Decise che avrebbe lasciato leggermente accostata la porta. 

Si voltò e la guardò un’ultima volta. In fondo, era anche una bella donna. Certo, l’avrebbe vista meglio senza quelle meches biondo-freddo. Qualcosa sul rosso probabilmente le avrebbe donato di più… La testa si era un po’ inclinata di lato, ma non sarebbe caduta, l’aveva sistemata per bene.

Trasse un profondo sospiro. Non si stava affatto male, lì. Sulla porta sentì, frizzante, l’aria fresca della notte. Sorrise. Ora aveva proprio voglia di una bella dormita.

 

 

continua…

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