Ecco una breve anteprima
dell’antologia di racconti inediti di montagna.
Ti proponiamo alcune righe del racconto di Andrea Trolese,
vincitore del Premio della giuria.
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TRASSILICO, LA VIGNA, UN RIFUGIO
di Andrea Trolese
âTrassilico è un borgo arroccato che ha lasciato raggio, diametro e circonferenza stesi sul campo di battaglia metropolitana.
Tutto funziona e nulla necessita. Câè margine, spazio, benevolenza e ospitalitĂ .
Soprattutto la benevolenza, il ben volere, è moto innato e secolare custodito tra le mura. Qui non câè richiesta, perchĂŠ la domanda è giĂ risposta nel quotidiano di oggi e domani. Ieri è una colonna vertebrale, un midollo.
Qui non câè bisogno di quelli che stanno o pretendono, ma solo di quelli che QUI sentono di arrivareâ.
Siamo a Trassilico da ormai dieci mesi e ho ritrovato questi miei appunti spiattellati in una delle decine di note che tendo costantemente a non ritrovare sul mio smartphone. Appuntarmi qualsiasi cosa in maniera disordinata è un mio vizio, come quando commettiamo lâirresistibile errore di grattarci non appena avvertiamo il leggero prurito di una puntura di zanzara. Non siamo capaci di resistere alla tentazione del piacere, e cosĂŹ tutto si scatena con unâintensitĂ inarrestabile, perpetua, palpabile. Anche il viaggio è cosĂŹ, una volta partiti non si può resistere e non resta che scontare la dolce pena per analogia dellâeterno vagare.
Anche quando non ci si sta fisicamente muovendo, anche quando si chiudono gli occhi: un dolcissimo inferno di stimolante irrequietezza.
Da quando siamo arrivati a Trassilico, ogni mattina, al risveglio, davanti ai miei occhi ci sono due cime rocciose: la Pania Secca e la Pania della Croce, entrambe miracoli custoditi allâinterno del Parco Regionale Alpi Apuane.
A un primo sguardo mi sembrano barriere maestose a difesa dal Mar Tirreno, dalla Versilia, dalla frenesia, ma in realtĂ osservandole meglio mi rendo conto che anche loro sono come me: le creste rocciose donano una falsa aria di apparente quiescenza, di trionfante stabilitĂ , eppure al di lĂ del loro apparire immobili sono terra che ha voluto farsi cielo. PiĂš le osservo e piĂš mi sembra di percepirne il movimento, di carpirne lo sforzo di ammirevole costanza in quellâesercizio di ascesi ad aeternum.
Mi viene la nausea di fronte a una tale onnicomprensiva incomprensibilitĂ .
âNellâidea di erigersi che gli uomini inseguono dalla piĂš lontana, notturna alba della loro differenziazione storica, le montagne giocano un ruolo quasi di vocazione, suscitano unâenigmatica pulsione a salire, non si sa perchĂŠ, forse solo perchĂŠ le montagne sono lĂ â.
Mi piacerebbe poter dire che anche questo passaggio è stato ritrovato tra i miei appunti, ma si tratta di un estratto preso dallâOpus Montanum del grandissimo, anzi âaltissimoâ Luigi Zanzi, che alle montagne dedicò la vita perchĂŠ, in fondo, esse sono la vita.
La nostra casetta presa in affitto è tra le poche in paese a poter garantire un minimo di privacy in quanto priva di accesso principale dalla via Vallisneri, la via del corso del paese. Come quasi tutti gli altri edifici, si tratta di una porzione terra-cielo incastrata tra altre porzioni, una striscia verticale simbolo di unâarchitettura abbracciante che da secoli ha sempre cercato di imitare le montagne crescendo verso lâalto, risparmiando cosĂŹ il poco e preziosissimo terreno necessario alla coltivazione e alla pastorizia. Avvolti da una saggezza calcolata al millimetro, tutto e tutti hanno un ruolo e non è possibile concedersi il lusso di abbandonarsi al caso, perchĂŠ diventerebbe caos, e a quello ci pensa giĂ la natura. SĂŹ, perchĂŠ qui basta guardarsi intorno per capire che gli ospiti siamo noi, e lâesser piĂš o meno graditi dipenderĂ solo ed esclusivamente dalla nostra capacitĂ di simbiosi.
I castagni ci respirano sul collo, il vento salmastro della Versilia scala le cime e sâincastra nelle narici e dalla via, oltre ad Angiò che bisbiglia qualcosa alle galline, si sente giĂ il vociare orgoglioso di parole sempre uguali e sempre vere:
âBuongiorno Maria, come andiamo?â
âDa vecchietti. Fin che se vedemo…â
âSuvvia, âun lamentamosi, che vecchia è la Pania! Guardate che giornatina anche oggi.â
Mentre bevo il caffè sul terrazzino, le vette, i pensieri, questo borgo e la riapertura imminente del Rifugio La MestĂ alla quale stiamo lavorando, mi creano degli attacchi (a me famigliari) di quella che autodiagnostico come âtroppofobĂŹaâ. Mi si blocca il respiro, il cuore abbandona il suo consueto ritmo lanciandosi in assoli di free jazz aritmico extra-sistolare, il viso si cosparge di formicolii che mi fanno tremare le palpebre.
Ă una difficile digestione quella della felicitĂ .
Anche lo stomaco borbotta e si assesta dopo la notte trascorsa pacifica ad assimilare la trippa di Basilio.
Basilio è un cuoco, nellâanima e nel corpo. Ha un portamento abbondante e il suo volto che tende sempre al sorriso mantiene uno sguardo alto e sicuro per le strade del paese. Qui, in veritĂ , lo chiamano Giacomo per motivi a me ancora oscuri, ma risulta evidente sin da subito che lui è quello del villaggio che ha girato il mondo, cucinato per i VIP, tenendo alta la bandiera del paesello. Per questo è forse anche un poâ invidiato, canzonato senza cattiveria. Si sente coraggioso e si dispiace per i suoi paesani che non sono mai cambiati, mentre io credo che questa smania di cambiare sempre sia sopravvalutata.
Ci vuole tanto coraggio anche a custodire.
Si è spesso e volentieri eroi anche a restare.
La casa di Basilio Giacomo (quella in âcentroâ perchĂŠ poi câè anche quella âin campagnaâ, ci ha spiegato lui) si trova in via di Mezzo, salita la Marchesana dopo la casa del boscaiolo, che è a sua volta a pochi passi da quella del fungaiolo.
Racchiude senza opprimere e accoglie come solo le case di montagna sanno fare: câè il camino, una taverna, una vipera in formaldeide, un busto di Lenin in soffitta. Tutto il necessario.
Il legno è ovunque, tanto che sembra di stare dentro a un albero con le finestre, nel mezzo di unâantica fiaba che profuma di castagno bruciato e trippa alla fiorentina.
Dal primo giorno che siamo arrivati, Basilio ha incarnato lâospitalitĂ di questo borgo, dove non esiste diffidenza, e anche qualora dovesse esistere, si fermerĂ sempre davanti a un boccone (o a una boccata, come direbbero qui) mangiato assieme. LâetĂ media di chi è rimasto a vivere quello che fu un glorioso comune è di circa settantâanni, ma da un uscio ogni tanto spunta anche qualcuno che, come noi, qui ha deciso di arrivare. Nonostante il numero di abitanti non superi la sessantina, tra le vie e le carraie si son ritrovate quasi dieci nazionalitĂ diverse. Ă strepitoso (e spaventoso) come la distanza dalla civiltĂ generi CiviltĂ .
Lontani da tutto e da tutti ci si avvicina davvero.
La gente qui è diretta, schietta, con poche âsegheâ. Le cose vengono fatte senza per forza dover essere dette, non per omertĂ , ma per semplicitĂ dâanimo. Chi cresce in ambienti come questi, o chi ci arriva, viene travolto dalla semplicitĂ di una logica sconcertante alla quale pochi di noi sono stati abituati. Ascoltando la voce tuonante di Basilio che racconta orgoglioso le sue imprese di vita e la sua infanzia nel borgo mi trovo immerso in ciò che ho sempre pensato potesse esistere, ma che non mi sarebbe mai stato dato.
A scuola ho imparato a studiare, allâuniversitĂ ho imparato a pensare, poi âal lavoroâ han provato a farmi credere che era tempo di far sul serio, come se la scuola e lâuniversitĂ fossero stati un gioco. Mi parlavano di âsacrificioâ, di âobbiettiviâ e di âsicurezzaâ, i vuoti miti della societĂ scarnificata che mi era toccata in ereditĂ storica. Produci, consuma, crepa.
Nellâarrivare a Trassilico, davanti a un piatto di fagioli o alla Pania della Croce, ho trovato lâennesima conferma di quel mio rifiuto interiore della vita a comparti stagni.
La vita è una faccenda propedeutica, non una questione di categorie, e io qui mi sento al sicuro e con un obbiettivo molto chiaro: essere felice.
Â
…continua
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