La felicità non è per tutti

(1 recensione del cliente)

15,00 

di Marcello Perrotto

 

Ricevere da uno studio notarile una raccomandata che ti nomina come unico erede di una zia che non vedi da quarant’anni, non può che far salire l’adrenalina e le aspettative di veder realizzato un sogno che è quasi una leggenda metropolitana: diventare ricchi grazie a un’eredità misteriosa.

Per il protagonista del romanzo, però, le cose non vanno come sperato. In realtà un’antica villa in decadenza e un diario ricco di segreti fanno davvero parte del lascito ereditario, ma del sospirato gruzzolo non c’è più traccia. Sarà però la lettura di questo diario, che racchiude gelosamente il racconto della vita della zia, affascinante e tragica al contempo, che farà comprendere al nipote che non sempre le cose sono come sembrano e soprattutto che… la felicità non è per tutti.

 

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Venerdì 13 novembre 2015

Ero appena uscito dalla Torino-Piacenza. Allo svincolo un cartello indicava che in cinquanta chilometri avrei raggiunto la valle chiamata ombrosa, forse per i numerosi alberi che la rendevano molto oscura, oppure perché il sole l’aveva dimentica. Guidavo sotto una noiosissima pioggia da quando avevo lasciato la mia città, Torino, avvolta dalla solita cappa di smog, che la rendeva, a sua volta, in qualche maniera “ombrosa”, impedendo al sole di illuminarla come avrebbe meritato.

Dalla partenza continuava a scendere un autentico diluvio che metteva a dura prova il mio tergicristallo: faceva strani rumori gracchianti e avevo il timore che si bloccasse da un momento all’altro. La strada era una stretta e noiosa striscia grigia, appena distinguibile a causa della poca visibilità. Era passata ancora un’altra mezz’ora in quel viaggio senza fine. In base alle indicazioni stradali avrei dovuto percorrere un’ultima quindicina di chilometri prima di arrivare all’ospizio e mi augurai che diminuisse la violenza della pioggia.

Diedi un rapido sguardo alla busta appoggiata sul sedile alla mia destra, conteneva la raccomandata ricevuta il giorno precedente. “Studio notarile Eugenio Contini”, così recitava il mittente. Il contenuto era molto sintetico. La zia Giulia era mancata improvvisamente, e per il funerale si richiedeva la mia presenza come unico parente della defunta. Seguivano data e luogo del funerale. Per chiudere era indicato il giorno per l’apertura del testamento a mio favore come erede universale. Se mi ero mosso da casa con un tempaccio del genere, quando avrei potuto starmene tranquillamente infilato sotto le coperte, era stato solamente per quelle due soavi parole che chiudevano la raccomandata: erede universale. Avevo iniziato a fantasticare su ciò che avrei potuto ricevere da questa zia, della quale non avevo più notizie da almeno una quarantina di anni. Avevo subito sperato in una ricca eredità, cosa naturale quando muore un parente che vive lontano da casa e si riceve una raccomandata da uno studio notarile. Io poi, che non navigavo nell’oro, provavo una certa euforia nell’immaginare un libretto bancario con un sostanzioso deposito. Ma avrei accettato anche una cassetta di sicurezza colma di gioielli e lingotti d’oro, oppure un paio di palazzi nel centro della città, con una congrua rendita ogni inizio mese. La mia fantasia non aveva limiti e per gran parte della notte mi ero costruito una precisa idea di cosa avrei fatto con la fortuna ereditata. Innanzitutto avrei sostituito il mio vecchio catorcio prima che mi lasciasse a piedi. In seguito mi sarei rifatto il guardaroba: vestiti, scarpe, giacconi di pelle nera, che erano la mia passione; e poi un viaggio per il mondo a conoscere culture diverse, luoghi  esotici e, perché no, anche donne compiacenti per sfruttare le mie capacità amatoriali che, con indubbia vanità, ritenevo ancora all’altezza dei miei settanta anni, portati bene.

Mentre continuavo il viaggio tra i miei sogni, l’ennesima rottura di un qualche componente della mia vecchia Renault, mi riportò alla realtà. Improvvisamente una patina opaca sul cristallo mi impediva di visualizzare la strada. Di sicuro era andato in tilt il riscaldamento. In un mese si erano rotti prima la leva del cambio, poi il freno anteriore, che rimaneva bloccato, la vaschetta contenente l’antigelo si era appena bucata e ora il riscaldamento non funzionava più. Era proprio arrivato il momento di rottamarla. Rallentai l’andatura, passando un panno per pulire il parabrezza appannato e cercare così di mettermi in condizione di proseguire.

Un cartello all’incrocio appena superato indicava che mancavano tre chilometri alla mia meta: il Centro Anziani Valle Ombrosa. Fortunatamente la pioggia iniziò a diminuire la sua intensità, ma mentre percorrevo una serie di tornanti in collina una foschia fuligginosa cominciò a invadere i terreni circostanti, era la nebbia che s’alzava. Certo che nel mese di novembre non potevo pretendere di trovare sole caldo e visibilità perfetta. Come era possibile però che ogni volta che partecipavo a un funerale trovavo un tempo cupo che aumentava la tristezza della giornata? Accompagnare per l’ultimo viaggio terreno una persona non poteva certamente essere un momento di gioia neanche in una bella giornata di sole.

Mia zia Giulia non aveva mai avuto contatti con la mia famiglia per via del suo passato. Era l’unica sorella di mio padre e i miei nonni, le poche volte in cui ne parlavano, l’avevano dipinta come una nullità poiché all’età di quindici anni si era allontanata a casa, per andare a vivere da alcuni conoscenti. Avrebbe dovuto rimanere solo per un mese, invece non aveva più fatto ritorno, senza dare alcuna spiegazione. A sentire mio nonno non era tornata per evitare di lavorare nella conceria di pelli  a causa dell’odore dell’acido. Anche mio padre ne parlava in modo distaccato. Io avevo un ricordo diverso di lei, l’avevo vista per la prima volta durante il lontano anno della mia prima comunione. Era un giorno di festa per me che trepidante mi stavo preparando a ricevere il corpo di Cristo. Ero nel piazzale davanti alla chiesa, quando lei insieme ad una amica si era avvicinata; avevo sentito le parole di mio padre, il quale non l’aveva invitata e si stava chiedendo come avesse saputo della festa. Lei si era avvicinata con un sorriso e mi aveva dato un bacio, sfiorandomi solo la guancia col viso per non lasciarmi il segno di rossetto, esclamando: “Che meraviglia di bambino… sei proprio bellissimo.” Mi aveva colpito il suo profumo, intenso ma delicato.

Mi diede in regalo un piccolo pacco avvolto nella carta colorata, dentro c’era una catenina d’oro con una medaglietta con un sole splendente e la data della prima comunione.

D’istinto portai la mano al collo dove penzolava la catenina che avevo ricevuto in dono dalla zia.

Mia madre, la sera stessa della comunione, l’aveva riposta in un cofanetto, temendo che qualcuno potesse strapparmela dal collo, e in tutti questi anni era rimasta dentro quella minuscola scatola vellutata. Avendo ricevuto la notizia della morte di mia zia, avevo aperto il cofanetto, e per la prima volta l’avevo messa al collo. Tornai ancora con la mente a quel lontano giorno e al profumo della zia che sapeva di mughetto. Eravamo nel mese di maggio del 1952, io avevo nove anni non ancora compiuti, lei doveva averne circa 28 poiché, come mi aveva raccontato mio padre, era nata il 13 novembre del 1924.

Pensai alla beffa del destino, sepolta il 13 novembre, lo stesso giorno della sua nascita.

Zia Giulia non si trattenne molto in quell’occasione dicendo che doveva prendere la corriera per la stazione altrimenti perdeva il treno diretto in Romagna.  Io però fantasticai a lungo su di lei. Dove sarebbe andata, cosa avrebbe fatto… e non davo ascolto alle parole poco lusinghiere che sentivo dire dai nonni e da mio padre nei suoi confronti. Per me era diventata una di quelle eroine dei fumetti  che appaiono in determinati momenti e poi spariscono nel nulla, come dei folletti. Con il passare degli anni però, non avendo avuto più nessuna sua notizia, pensai che fosse morta. Non era neppure venuta ai funerali dei miei nonni, di suo padre prima, e di sua madre poi. Come spesso succede, il tempo cancella in parte i ricordi e gli eventi della vita, positivi e negativi che possano essere, per cui pensai che anche lei avesse fatto la stessa fine di suo fratello, mio padre, morto otto anni prima. Invece, dalla lettera del notaio, venivo a scoprire che era morta da appena due giorni e all’età di 91 anni.

Aveva avuto una lunga vita.

1 recensione per La felicità non è per tutti

  1. Domenico Cavallotto (proprietario verificato)

    ….molto molto interessante… Raccolta da una storia vera….

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